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La normativa degli spazi a parcheggio è continuamente soggetta a interventi legislativi e giurisprudenziali che ne alimentano la complessità e la frammentarietà.
Nondimeno, da ultimo è intervenuta la sentenza n. 31799 del 27 ottobre 2022 con la quale la Cassazione ha sostenuto che gli spazi a parcheggio realizzati come standard urbanistico delle nuove costruzioni (sono i cosiddetti “parcheggi-standard” o parcheggi della “legge ponte”), anteriormente alla legge 246/2005, sono tuttora gravati dal vincolo di pertinenzialità rispetto all’edificio cui sono asserviti. Ne consegue che:
Alla luce degli sviluppi normativi e giurisprudenziali che hanno interessato la materia in questione, si riporta di seguito un breve punto di situazione e precisamente:
Rientrano, quindi, in tale classificazione tutti gli spazi a parcheggio costruiti come standard urbanistico (in misura non inferiore a un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione) nelle costruzioni realizzate dopo l’emanazione della legge n. 765/1967 (la c.d. “Legge Ponte”, così denominata perché fu un tramite tra la Legge Urbanistica n. 1150/1942 e la sua innovazione contenuta nella legge n. 10/1977, cosiddetta “Legge Bucalossi”).
Va osservato che tale tipologia di parcheggi:
Tali parcheggi, quindi, non devono essere necessariamente destinati all’uso dei condomini dell’edificio, ma devono inderogabilmente essere destinati a parcheggio di chiunque.
Il regime dei parcheggi Tognoli è stato semplificato con il Decreto Legge n. 5/2012. Difatti, in precedenza, sia i parcheggi “Tognoli-privati” sia i parcheggi “Tognoli-pubblici” erano accomunati dalla previsione secondo la quale “essi non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli” (articolo 9, comma 5, legge n. 122/1989).
Il Decreto Legge n. 5/2012 ha effettuata la seguente distinzione e precisamente:
Su tale sfondo si innesta anche la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 28972 del 17 dicembre 2020 che ritiene, in linea di principio nulli gli atti negoziali con i quali vengano attribuiti diritti di uso esclusivo al condomino, poiché in contrasto con il numerus clausus ovvero con la tipicità dei diritti reali.
Tuttavia, prima di giungere alla grave sanzione della nullità, la Cassazione impone all’operatore del diritto di verificare se sia possibile qualificare l’attribuzione del diritto di uso esclusivo in un diritto reale tipico, o in un diritto personale di godimento, ovvero in una pattuizione sull’uso delle cose comuni ai sensi dell’art. 1102 del codice civile. Ne consegue che, di fronte a una clausola negoziale che attribuisca l’uso esclusivo di un’area condominiale a un condomino per un periodo non eccedente la vita del condomino stesso (o per un periodo non superiore a un trentennio, quando si tratti di una persona giuridica), sarà lecito ipotizzare che si sia voluto far riferimento al diritto reale di uso o eventualmente al diritto di usufrutto, quando il godimento non appaia limitato in relazione ai bisogni del titolare e della sua famiglia. Inoltre, sarebbe possibile qualificare l’attribuzione in questione quale servitù prediale, ossia quale peso imposto sull’area condominiale (fondo servente) a favore dell’unità immobiliare esclusiva (fondo dominante) al solo scopo di parcheggio dell’autovettura. La costituzione della servitù prediale, però, deve essere vagliata sulla base delle argomentazioni della Cassazione che ne ha sancito l’invalidità. In merito, la Cassazione ha sostenuto che, a fronte della costituzione della servitù prediale avente ad oggetto una parte comune, si finirebbe con il riconoscere un “diritto di godimento generale del fondo servente”, svuotando in tal guisa il diritto di proprietà insistente sul fondo medesimo in violazione dell’uso delle cose comuni ai sensi dell’articolo 1102 del codice civile.
Se ne potrebbe dedurre, a contrario, la validità di una costituzione di servitù che gravi solo su una porzione limitata dell’area condominiale (fondo servente) e non sull’intera area, di modo da permettere il rispetto dell’articolo 1102 del codice civile.
Possibili evoluzioni legislative
La complessità della normativa degli spazi a parcheggio offre uno spunto di riflessione sulle possibili evoluzioni legislative.
In particolare, la frammentarietà della materia renderebbe opportuna la raccolta degli esiti normativi e giurisprudenziali all’interno di un Testo Unico, a similitudine del Testo Unico sull’Edilizia. Infatti, a seconda dell’anno di costruzione e alla categoria di appartenenza, cambia radicalmente la disciplina applicabile al trasferimento dello spazio a parcheggio. Ne consegue la necessità di dover reperire la normativa attualmente vigente e l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi per quel determinato spazio a parcheggio.
In secondo luogo, sarebbe opportuno valorizzare la normativa della Legge n. 122/1989 (c.d. Legge Tognoli), estendendo la sua applicazione anche ad ulteriori fattispecie non previste dalla Legge stessa. Ad esempio, si potrebbe consentire l’applicabilità della Legge Tognoli svincolandola dall’obbligo di pertinenzialità previsto sia per i parcheggi “Tognoli-privati” (articolo 9, comma 1, Legge n. 122/1989) sia per i parcheggi “Tognoli-pubblici” (articolo 9, comma 4, Legge n. 122/1989). In tal modo si consentirebbe di estendere l’ambito soggettivo di applicabilità delle agevolazioni della Legge Tognoli (in particolare di usufruire della possibilità di eseguire le opere mediante la Segnalazione di Inizio attività, in alternativa al più oneroso permesso di costruire) anche ad ulteriori soggetti privati che oggi non avrebbero i requisiti per accedervi. Si pensi ai “silos di parcheggi”, ossia palazzi a più piani che contengono garage e parcheggi a lisca di pesce, realizzati dai Comuni con la finanza di progetto, o direttamente da società private, e collocati al di fuori dei centri urbani, che consentirebbero, da un lato, di decongestionare il traffico cittadino e, dall’altro, di incentivare il trasporto pubblico proiettato sempre più ad una completa “elettrificazione”, con specifiche navette.
E proprio in merito all’elettrificazione del trasporto, un forte incentivo si è avuto con l’art. 32-ter del D.L. n. 77/2021 così come convertito dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108, il quale ha disposto che l’installazione delle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici ad accesso pubblico (c.d. colonnine di ricarica) non è soggetta al rilascio del permesso di costruire ed è, quindi, considerata attività di edilizia libera.
Tuttavia, il processo di elettrificazione del trasporto deve essere pianificato e condotto con attenzione, al fine di evitare ripercussioni negative sotto l’aspetto produttivo e ambientale. Non a caso l’Italia si è sempre dimostrata contraria all’adozione in tempi brevi, e senza un’adeguata valutazione, di un Regolamento Europeo che preveda lo stop dal 2035 alle auto nuove diesel e benzina. Ciò, peraltro, non vuol dire che l’Italia è assolutamente contraria alla transizione energetica, ma semplicemente che tale transizione deve essere programmata in modo equo e sostenibile, nel presupposto che solo l’Europa ha previsto una normativa volta a bloccare l’utilizzo di auto diesel e/o benzina.
Non a caso, il divieto di produzione di autovetture diesel e benzina a partire dal 2035 è stato proposto solo in Europa e non in altri Paesi extra-europei. Il motivo principale si riscontra nella problematicità relativa allo smaltimento delle batterie che contengono vari elementi inquinanti quali il nichel, cobalto, etc., che necessitano di un particolare trattamento sia per lo smaltimento sia per il riciclo. Infatti, sebbene le batterie delle auto elettriche siano riciclabili al 95% dei loro componenti, solo il 5% delle batterie in circolazione viene riciclato correttamente.
Inoltre, l’attuale infrastruttura energetica non consentirebbe di soddisfare l’intero bisogno energetico che richiedono tutte le potenziali auto elettriche in fase di ricarica.
Per ciò che concerne i riflessi ambientali, invece, gli elementi che compongono le batterie delle auto elettriche (nichel, cobalto, etc.) necessitano di uno sfruttamento del suolo molto invasivo che, oltretutto, sta già causando una corsa alle c.d. “terre rare”. Ne conseguirebbe un impatto ambientale addirittura superiore a quello causato dalle attuali auto a benzina e/o diesel.
Pertanto, l’utilizzo delle auto elettriche renderebbe ancora più problematico il parcheggio delle auto stesse a causa dell’installazione di innumerevoli colonnine di ricarica che diminuirebbero gli spazi utili al parcheggio.